Le pratiche di minima lavorazione consentono di seminare anche quando la stagione non sia più favorevole, come accade nei mesi invernali, grazie alla capacità di preparare comunque il terreno senza ricorrere a lavorazioni profonde.
Quando si parla di pratiche di “minimum tillage”, cioè quelle di minima lavorazione del terreno prima della semina, le situazioni di campo possono presentarsi fra le più disparate. Quelle ottimali, con il terreno al giusto grado di umidità e temperatura, rendono ovviamente tutto più facile, permettendo alle attrezzature di avanzare agevolmente e di preparare al meglio i primi centimetri di suolo, quelli in cui verranno posti a dimora i semi. Il tutto evitando di ricorrere a lavorazioni profonde come per esempio l’aratura.
Questa presenta infatti alcune criticità quanto a consumi di gasolio e rispetto del suolo, dato che richiede elevati assorbimenti di potenza alterando al contempo in modo sensibile i primi strati del terreno. La prima conseguenza è la maggiore esposizione della sostanza organica all’aria, con conseguente ossidazione della medesima e dispersione in atmosfera di anidride carbonica indesiderata. Meno sostanza organica a disposizione delle colture e della struttura del terreno, quindi, e più emissioni di gas serra. Inoltre, il rivoltamento dei primi 25-30 centimetri di suolo, quando non di più, impatta in modo sostanziale anche gli organismi terricoli, come per esempio i lombrichi.
Di questi ve ne sono peraltro di due tipi. Il primo, che vive più in superficie, scava usualmente le gallerie parallelamente al piano di campagna, ma il secondo, che vive di solito più in profondità, segue anche tragitti perpendicolari creando in tal modo negli strati sottosuperficiali una benefica microporosità che contrasta eventuali ristagni idrici. Nefasta condizione, questa, che ha flagellato per esempio le semine di grano in molte zone d’Italia, visti gli andamenti metereologici autunnali particolarmente piovosi. Difficile infatti seminare anche quando le piogge dessero respiro, perché i campi impiegavano comunque giorni per diventare trattabili con le attrezzature per l’affinamento del terreno e, peggio ancora, per le seminatrici. Ecco quindi che le pratiche di minimum tillage possono addirittura divenire risolutive, riuscendo a operare anche a fronte di terreni umidi e agevolando in tal modo le successive semine. Lombrichi e sostanza organica ringraziano.
Un’opportunità, quella del minimum tillage, da tenere quindi sempre da conto, soprattutto pensando che molti cerealicoltori non hanno affatto rinunciato a seminare durante l’inverno, adottando ovviamente varietà di grano atte a tal scopo. Questi dovranno però fare i conti con terreni tendenzialmente induriti dal freddo, grazie anche all’alto tasso di umidità in essi contenuto. Ecco quindi che un coltivatore a denti, a dischi, oppure misto, può scarificare superficialmente i campi quel tanto che basta da renderli seminabili. Il tutto senza rivoltare il terreno con gli aratri. Pratica peraltro che diviene ancor più onerosa dal punto di vista dei consumi quando le basse temperature rendano il substrato da lavorare particolarmente duro.
Tali pratiche conservative non sono però consigliabili solo a chi intenda seminare grano, duro o tenero che sia. Vanno infatti guardate con estrema attenzione anche da parte di chi intenda seminare mais, altra coltura che può beneficiare ampiamente dei vantaggi offerti dalle lavorazioni superficiali degli appezzamenti. Peraltro, in diverse Regioni sono anche previsti specifici contributi al minimum tillage da parte dei Piani di sviluppo rurale. Quindi ottima occasione per approfittarne, sia dal punto di vista agronomico, sia da quello dei bilanci aziendali.
Una gamma per tutte le esigenze
Nel segmento delle minime lavorazioni si evidenzia l’offerta di Horsch, costruttore tedesco le cui attrezzature sono distribuite in Italia dalla rete tecnica e commerciale Krone. Due le serie che si mostrano particolarmente adatte, ovvero la “Joker” e la “Terrano”. La prima afferisce al segmento tecnico dei coltivatori a dischi, avanzando quattro differenti modelli, ovvero i “Ct”, gli “Rt”, questi anche in versione “Classic”, e infine “Hd”.
Ognuno di essi propone architetture variabili quanto ad ampiezza del fronte di lavoro e di composizione dell’apparato lavorante, il quale diviene specifico modello per modello quanto a dischi, tipologia di rollpack posteriore ed eventuale rullo anteriore. Con un solo passaggio, i coltivatori a dischi “Joker” possono cioè frammentare gli eventuali residui colturali incorporandoli nei primissimi centimetri di suolo e preparando al contempo il campo a ospitare l’operato delle seminatrici. Analoghi risultati si possono ottenere con i coltivatori della serie “Terrano”, misti denti-dischi, anch’essi declinati in quattro modelli, ovvero gli “Fx”, i “Gx”, gli “Fm” e gli “Mt”.
Fra questi il modello base, il “Terrano Fx”, presenta robuste ancore atte a tagliare e scomporre il terreno solo superficialmente senza rivoltarlo, risultando particolarmente utile quando si vogliano creare apposite fenditure che lo predispongano sia alla semina, sia alla migliore circolazione di aria e acqua.